Di Simone Bandini
“(…) Prima del potere, giusto e ingiusto non esistevano, perché la loro natura è relativa al comando, e ogni azione, per natura propria, è indifferente. Che sia giusta o ingiusta, deriva dal diritto di chi comanda. Dunque, i re legittimi rendono giuste le cose che comandano, con il comandarle; e ingiuste le cose che vietano, con il vietarle”
Thomas Hobbes, “De Cive” (1642)
È chiaro ormai ad ogni attento osservatore di filosofia politica – gli altri commentatori qui ci interessano poco – come lo stesso capitalismo che ha superato trionfante la modernità industriale stia soccombendo alla modernità finanziaria e poi virtuale – che lo hanno reso troppo evanescente e assai poco palpabile. Così come l’elettronica e l’informatica hanno sostituito la meccanica e la tecnica, altresì l’intelligenza artificiale delegherà altrove la matrice delle azioni decisive, togliendo responsabilità e scelte elettive all’umanità ‘reale’. In poche parole, l’uomo è stanco della propria libertà, della capacità di autodeterminarsi: un fardello pesante di cui si può fare a meno, affaccendato com’è a far denaro o a perseguire quei piccoli, raramente grandi, piaceri materiali che affollano le sue giornate.
È altrettanto evidente come il capitalismo si stia decomponendo proprio per esser tornato nel mondo, per aver rinnegato quei principi che lo distinguevano dal collettivismo marxista, perdendo la sua radice metafisica, fondata sui principi culturali e morali – che antecedono quelli meramente economici (si veda il Max Weber di ‘Etica protestante e spirito del capitalismo’, in particolare sul valore dell’elezione mediante la grazia, ovvero dell’ascendente ‘divino’ del fare economico).
In questa situazione di passaggio, per la prima volta e sul serio, il feticcio assoluto del ‘mercato’ – divinità manichea del capitalismo – non appare più entità perfetta, intoccabile, ma i suoi attributi si fanno condizionati dalla mediazione dello Stato che ritrova la sua autorità ‘metafisica’ e i suoi valori costitutivi e fondanti.
Per questo sono nati diversi sovranismi minori in Europa – ed anche il sovranismo ‘maggiore’ di Trump negli States. Una nuova visione del mondo che si manifesta con molteplici facce ma che, in realtà, opera in modo molto semplice e tangibile: prendiamo ad esempio il tema ‘caldo’ dell’immigrazione: una cosa è l’accettazione della diversità – fondamento di ogni convivenza civile – un’altra cosa è la magnificazione compulsiva, ad oltranza, della diversità e dei diritti delle minoranze. La gente non ne può più di questi demoniaci paradossi.
Il sovranismo giunge così a compensare la debolezza di pensiero e l’inconsistenza morale del pensiero dem e progressista che, spingendosi oltre le colonne d’Ercole del buon senso, cancella le sue ragioni positive e annaspa in un’incomprensibile, pericolosa, deriva subumana.
Qui il materialismo si salda perfettamente con il determinismo e il razionalismo scientifico: la fiducia nella scienza e nelle sue soluzioni prêt à porter si fa fideistica e dispotica. La verità si esaurisce nel contingente, in ciò cha accade, senza desiderare una convalida spirituale e morale a legittimarne il valore, non solo operativo ma ontologico.
Non è tanto ciò che Donald Trump dichiara ad essere determinante ma ciò che egli incarna a superare la sua mera funzione politica: il pensiero riformatore del capitalismo è già tra di noi ed in lui ha trovato un possibile veicolo di espressione. Sarà lui a guidare il necessario processo riformatore del capitalismo?
Ascolto consigliato: ‘Watch yourself boy’, The Silver Lines