Di Simone Bandini

 

“L’uomo vive in città, mangia senza fame beve senza sete, si stanca senza fare fatica, rincorre il proprio tempo senza raggiungerlo mai.

È un essere imprigionato, una prigione senza confini da cui è quasi impossibile fuggire.

Alcuni esseri umani hanno bisogno di riprendere le proprie vite, di ritrovare una strada maestra.

Non tutti ci provano e pochi ci riescono.

Una delle vie maestre è quella che conduce alla montagna. C’è tanta bellezza, fatica, solitudine e silenzio in questo mondo arrampicato.

Tutti valori poco alla moda ma che aiutano a vivere e a conoscere sé stessi”

 

(Walter Bonatti, 1930-2011)

 

 

 

Non si tratta ahimè di fame per la cultura, voglia di conoscere e coltivare il proprio animo, ma piuttosto di uno scimmiottamento di un bisogno primario.

Dio, la natura, il fato, ci hanno fornito il senso del gusto affinché potessimo mantenere il nostro corpo e le nostre funzioni cerebrali. Mangiare è certamente un piacere fondamentale ma ricordate, è bene che il cibo sia tutti giorni ‘meritato’, non fosse altro per un senso di giustizia universale per cui ‘dare ci permette di ricevere’ – ed ogni impegno reca una ricompensa. Questo principio porta le nostre vite su un piano superiore, dove è la nostra volontà, dove è lo spirito a governare le nostre azioni – e si promuove una cooperazione comunitaria, oggi si potrebbe dire empatica, con la propria famiglia e contesto clanico (che termine retrogrado!).

Per spiegarlo ai più materialisti – la fame culturale è una pestilenza del mondo moderno che trascende culture e condizioni sociali – un concetto che si rende immediatamente visibile nel meccanismo dell’utile e del denaro. Averne può farti comprare oggetti, cose, prestazioni e persone. Non è necessario oggi scomodare le quattro cause aristoteliche.

Con lo stesso denaro si possono comprare cene rooftop con viste sensazionali, piatti signature a discrezione dei santoni della cucina molecolare, cotture sottovuoto assoluto, creme e ganache metafisiche, carni massaggiate su letti di rucola ultabiologica, salmoni selvaggi pescati a canna solo nelle notti scozzesi di luna piena, fritti kataifi più leggeri di zeffiri polinesiani.

Questa è la fame culturale che ormai ammorba la gran parte degli esseri senzienti che – dopo una giornata spesa in uffici arredati secondo l’arte geomantica taoista del feng shui, call incravattate interminabili, riunioni vendite, coltivano mestamente il grande samsara del materialismo senza nemmeno rendersene conto, ingranaggi inconsapevoli di una macchina superiore della quale nemmeno si interrogano – né vogliono sapere dove possa condurre.

Una fame che non è reale, o per meglio dire a bassa intensità, poiché procede da giornate insipide e inattive. Da procedure sempre uguali a sé stesse, tristezza, depressione, mediocrità, assenza di prospettive.

L’invito è a procurarsi una fame reale, per tentare di trovare la via maestra. Tornate alla sostanza delle cose, non vi fate fregare. Guardate verso l’alto. Cercate appetiti più intensi ed elevati.

 

Ascolto consigliato: “I looked at you”, The Doors